Benjamin


 Walter Benjamin: Un Pensiero tra Marxismo, Misticismo e Critica Culturale

Walter Benjamin, pur non essendo stato un membro ufficiale della Scuola di Francoforte, viene descritto come una delle sue voci più profonde e originali. Il suo pensiero si presenta in modo frammentario e poetico, unendo influenze diverse quali il marxismo, il misticismo e la critica culturale. Questa combinazione lo porta a sviluppare una filosofia che sfugge a ogni


tentativo di sistema rigido.

Secondo Benjamin, il compito principale della filosofia non è quello di costruire verità assolute ed eterne. Al contrario, egli ritiene che la filosofia debba interrompere il corso apparente della storia, svelandone le contraddizioni intrinseche. Attraverso questo processo di interruzione e svelamento, emerge la possibilità di salvezza, che è legata alla memoria e alla consapevolezza del dolore.

Benjamin critica profondamente l'idea di un progresso storico continuo e lineare. Per lui, la storia non è un cammino che procede incessantemente in avanti, ma piuttosto un campo di rovine. L'unica speranza per un cambiamento radicale risiede in un salto messianico, inteso come un evento improvviso capace di ribaltare l'ordine esistente delle cose.

Questo evento trasformativo non è qualcosa di automatico o inevitabile. È invece un'ipotesi, una possibilità che scaturisce dalla tensione tra la profonda disperazione per le ingiustizie subite nel passato e la speranza in un futuro radicalmente diverso.

La sua visione della storia è vividamente espressa attraverso l'immagine dell'angelo della storia. Questo angelo guarda indietro verso il passato e vede solo macerie, mentre una tempesta che chiamiamo "progresso" lo spinge inesorabilmente in avanti. Questa immagine non è meramente letteraria, ma veicola una profonda etica della memoria. I filosofi hanno il dovere di non dimenticare i vinti della storia e di non legittimare l'ordine sociale dominante. Benjamin sostiene che solo ricordando l'orrore del passato è possibile nutrire un autentico desiderio di redenzione. La stessa vita di Benjamin, segnata dalla persecuzione in quanto ebreo e terminata con il suicidio nel tentativo di sfuggire al nazismo, incarna questa tragica tensione tra disperazione e resistenza.

Uno degli scritti più celebri di Benjamin, "L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica" (1936), si concentra sulla trasformazione dell'arte nella modernità. L'introduzione di nuove tecnologie come la fotografia e il cinema ha reso possibile la riproduzione seriale delle opere d'arte. Questa possibilità ha comportato la perdita dell'"aura" dell'opera d'arte. L'aura è definita come quel senso di unicità, irripetibilità e distanza sacrale che caratterizzava le opere artistiche nelle epoche precedenti.

Tuttavia, Benjamin non considera necessariamente questa perdita come un fenomeno esclusivamente negativo. Al contrario, la riproducibilità tecnica può avere un effetto democratico sull'arte, sottraendola al possesso esclusivo delle élite e rendendola accessibile alle masse. Questo processo apre un orizzonte rivoluzionario, in cui l'arte ha la potenzialità di trasformarsi in uno strumento per lo sviluppo della coscienza politica e per la partecipazione collettiva.

Lungi dall'essere un entusiasta ingenuo della tecnologia, Benjamin ne riconosce le potenzialità critiche. Egli crede che la cultura di massa, se utilizzata in modo consapevole, possa veicolare messaggi sovversivi, rompere con la tradizione borghese e dare voce a coloro che ne sono privi. Il cinema, in particolare, è visto da Benjamin come un mezzo potente capace di destrutturare la percezione abituale, rivelare ciò che è invisibile nella realtà quotidiana e rompere la sua apparente continuità.


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